martedì 27 gennaio 2015

UN MISTERO DELLA CRISTIANITA' AFFRONTATO DA MARCO PERILLO NELL'OPERA NARRATIVA " PHLEGRAIOS L'ULTIMO SEGRETO DI SAN PAOLO" LA SUA RECENTE FATICA LETTERARIA CHE LO IMPONE DI DIRITTO AI VERTICI DEGLI AUTORI PARTENOPEI



Marco Perillo esordisce con Phlegraios
l’ultimo segreto di San Paolo

di Antonio Tortora 
 

Lo scrittore Marco Perillo

Chi scrive è un appassionato conoscitore di quella “terra del fuoco” che rappresentava e continua a rappresentare “una delle meraviglie dell’Esperia misteriosa” come è scritto in “Baia Pozzuoli e Miseno - L’Impero Sommerso” dello storico bacolese Gianni Race, facendo riferimento alla Campania del IV° sec. A.C..

Inoltre è doveroso notare che l’aggettivo “phlegra” fu precedentemente attribuito alla piana peninsulare di Palléne in Tessaglia laddove Dei e Giganti si scontrarono in una mitica lotta che, non a caso, fece tremare la terra così come accadde e ancora oggi accade in tutto il territorio circostante la “Roma di zolfo” come Mario Sirpettino ha poeticamente e geologicamente definito Puteoli.

Oltretutto, fra le città presenti nella penisola di Palléne figurava, oltre Mende, Terambo e Afiti anche una greca Neapolis. Intrigante davvero! Ma questa è un’altra storia.

Quello che oggi ci preme raccontare è l’iter umano e spirituale che percorre il giornalista e ormai romanziere Marco Perillo nella sua fatica letteraria “Plhegraios – L’ultimo segreto di San Paolo” pubblicato da Rogiosi un editore che ancora una volta ha visto giusto dando forma e veste editoriale a un contenuto narrativo che per 254 pagine tiene incollato il lettore in un quadrante temporale dove passato e presente sono la stessa cosa, e lo rende ebbro di quell’odore sulfureo sprigionante da una terra sempre tesa al rinnovamento.

“…Manco fosse una pietra della Solfatara, che si ergeva con le sue esalazioni sulfuree proprio dietro al suo palazzo. Un cratere ribollente di ricche alchitrachiti, allumi di solfato, potassio, magnesio, mofete mefitiche, vapori giallo-rossicci che arrivavano fino a centocinquanta gradi. E quell’odore di sale, uovo marcio e piscio, dritto dalle viscere della terra; profumo profondo di caldera, di fanghiglia pizzicante, lunare, a inebriare tutta la città celando ricordi di un’atavica dimora di Efesto o di un’altra – grigia e arancio – di Lucifero. Eppure, già dall’epoca angioina, la gente andava lì per curarsi le ferite e i malanni. Gli effluvi caldi erano capaci di rendere feconde le donne, di guarire febbri inguaribili…” recita un passo del romanzo e le narici si riempiono di fumi e odori della terra flegrea creando stupore e meraviglia nel lettore che partecipa della scena e ne diventa involontario coprotagonista.

Il frammento di una lettera, probabile Epistola di San Paolo ai Laodicesi dell’antica Frigia, sconvolge Procolo Costagliola, giovanissimo archeologo senza alcuna esperienza sul campo, che si ritrova suo malgrado catapultato in una straordinaria avventura, da qualcuno osteggiata in ogni modo, fatta di ricerca di indizi storici, di investigazione su eventuali altri frammenti della Lettera nonché di pericolose escursioni notturne in siti archeologici e di lunghe chiacchierate con il pescatore Samuele Guardascione che con la sua parlata caratteristica mista di lingua napoletana in piccola parte, di remoto vernacolo flegreo e maccheronico latino, ovvero uno slang composito che suscita nel lettore un moto di simpatia irrefrenabile, rende la storia interessante e avvincente.


Copertina del libro edito da Rogiosi

Qui è obbligatorio un riferimento simbolico per chi conosce la cultura flegrea e un’allusione dichiarata dall’autore del romanzo, Marco Perillo, al poeta e antropologo culturale Michele Sovente, nato a Cappella minuscola frazione di Monte di Procida dove Procolo, l’archeologo tormentato ma coraggioso, intraprende la sua avventura.
Dal libro PHLEGRAIOS

Il Sovente stesso spiega: «scaturito da un impulso interno, dal bisogno di portare alla luce schegge sonore, barlumi di una età lontana dai contorni fiabeschi e primitivi, manifestazioni di energia vitale, di fisicità, figure e gesti elementari, nuclei di pensiero e di visionarietà che configurano un universo dove fascino e paura, sortilegio e smarrimento, solitudine e fusione con la natura procedono sempre all’unisono. Da qui discende il mio convincimento che tra latino, italiano e dialetto non ci sono divergenze o contrapposizioni» 

Ebbene, Samuele il pescatore cantastorie impersona Michele Sovente nella sua continuità temporale e nell’esternazione meticolosa, mai eccessiva e sempre ben calibrata, di pensieri e contenuti arcaici ma ancora vivi e radicati; mentre Marco Perillo ripropone e si compiace di farlo uno stile narrativo originale e improntato a quel “bisogno di portare alla luce schegge sonore e barlumi di un’età lontana” di soventiana memoria.

Dieci anni ci sono voluti a Marco per vedere attraverso il suo sguardo pulito i dettagli ardenti dei Campi Flegrei; per scoprire e riportare alla luce frammenti di una Epistola che non è una lettera qualsiasi ma che fu scritta, insieme a molte altre, da un gigante del cristianesimo; per recuperare la doverosa memoria storica di luoghi erroneamente ritenuti minori come la piccola frazione di Cappella e personaggi ritenuti secondari dalla storia come l’antropologo-poeta Michele Sovente.

Ha lungamente elaborato una trama che si snoda agile e veloce tra la frigia Laodicea e il Lago d’Averno porta dell’Ade, fra Cuma con l’Antro della Sibilla e il Castello di Baia incomparabile ma semichiuso museo, tra Rione Terra sede di una splendida cattedrale-tempio e Centum Cellae invasa dalle sterpaglie e ancora la Piscina Mirabile gigantesca cisterna e sontuosa cattedrale sotterranea.

L’elenco potrebbe continuare ma preferiamo fermarci; la sorpresa non deve anticipare la curiosità di chi leggerà il giallo storico un pò noir o di chi ricercherà le radici della propria fede; di chi consapevolmente conosce la zona e di chi sfortunatamente solo da questo momento in poi proverà interesse per le antiche pietre flegree.

Paolo di Tarso davvero approdò sulla costa dell’antica Dicearchia nel 61 d.C. e fu un formidabile evangelizzatore nel corso di parecchi viaggi intrapresi, non senza pericolo, verso i paesi affacciati nel bacino del Mediterraneo e a Pozzuoli incontrò membri della comunità cristiana già stanziati in quel luogo dal I° sec. d.C.; cosicchè anche queste sponde ebbero i loro martiri fra cui Sossio, Procolo, Acuzio, Artema, Eutiche, Festo, Desiderio e naturalmente San Gennaro.

Sacro e profano stretti in una morsa creatrice e non soffocante: Ulisse, Enea e la Sibilla Cumana a testimonianza di miti eterni e San Paolo, San Gennaro e i misconosciuti martiri puteolani a testimonianza di fede cristiana, tutti elementi collegati da personaggi non storici benché davvero plausibili e verosimili fra cui Procolo, Samuele e la veggente ‘Onna Carmela.

L’area flegrea purtroppo versa in uno stato di abbandono e le cronache ce lo ricordano ogni giorno cosicchè nel romanzo Marco Perillo che, non dimentichiamolo è anche un valente giornalista, non si esime dal denunciare tale stato di trascuratezza con il garbo che lo contraddistingue e senza mai perdere di vista l’intento narrativo.

L’intera area concettualmente rispecchia il pensiero di Nietzsche il filosofo preferito da Procolo e forse anche da Marco e che dai suoi aforismi ha tratto la forza di resistere agli urti della vita. Infatti il castello di sabbia costruito da ogni uomo su una spiaggia è destinato a rovinare in seguito a una violenta mareggiata e sta all’uomo decidere se ricostruire o abbandonare l’impresa suggerisce il grande filosofo tedesco.

Alla stessa maniera mentre i sismi, le eruzioni vulcaniche e i bradisismi sconvolgono l’Archiflegreo e quella manciata di chilometri teatro delle vicende narrate nel romanzo rimangono seppelliti e dimenticati, Marco Perillo utilizza la “sciaveca” che in dialetto bacolese e nel linguaggio dei pescatori sta a significare la rete a strascico qui metaforicamente letteraria, per riportare in superficie e alla chiara luce del sole tutti i tesori che giacciono nelle profondità tufacee giallo-sulfuree.

La sua ovviamente non è una rete fatta di canapa come in antico, di nylon o piombata come quelle moderne bensì una rete fatta di saperi metabolizzati, concetti profondi e parole pregnanti.

Dunque così come San Paolo fu pescatore di uomini Perillo al suo esordio di scrittore, dopo aver sistemato in barca, ovvero in innumerevoli file, tutti i materiali raccolti navigando col cuore oltre che con la vista in una delle più belle zone vulcaniche del mondo, si accinge a pescare uomini di buona volontà che, ne siamo sicuri, parteciperanno in un modo o nell’altro a questa grande avventura di riscoperta della lettera paolina e del proprio vissuto personale.

Ci rimane solo la curiosità di vedere quale sarà la prossima avventura cui noi, di certo, parteciperemo.


Scheda del libro
Autore:  Marco Perillo
Titolo:  Phlegraios – L’ultimo segreto di San Paolo
Editore:  Rogiosi
Anno:  2014-10-17
Pagine:  254
Prezzo:  Euro 14.00

Tratto da http://www.napoli.com/viewarticolo.php?articolo=40986 del 17 ottobre 2014


Antonio Tortora sul tetto dell'Eremo di San Michele Arcangelo a Monte Sant'Angelo (Pozzuoli) da cui si domina a 360 gradi sullo scenario flegreo laddove si svolgono le vicende narrate da Marco Perillo nel romanzo Phegraios

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