lunedì 5 gennaio 2015

II PAZZARIELLO UNO DEI MITI CHE A NAPOLI ANCORA SOPRAVVIVE


Siamo stati fortunati e nel cuore palpitante della città, a pochi passi da Banchi Nuovi e da Santa Chiara, abbiamo incontrato il Pazzariello emblema di una Napoli ancora vitale e straordinaria.


Foto di Antonio Tortora: Pazzariello e musicanti

Già dal Largo San Giovanni Maggiore, dove si trova la sede dell' Università degli Studi di Napoli "L'Orientale" giungevano musiche, canti e schiamazzi; pertanto la nostra attenzione fu attirata da qualcosa di familiare, quasi genetico, e nello stesso tempo di arcaico. Abbiamo seguito le onde sonore propagate dal chiasso e ci siamo resi conto, presso la piazza Banchi Nuovi e più precisamente all'altezza di Vico Pazzariello che un variopinto personaggio molto simile al "Pazzariello", in carne e ossa, dirigeva una banda di ragazzini della Napoli verace, che non rinuncia a perpetuare le proprie tradizioni. Maestro di musica e musicanti intonavano le melodie classiche del banditore di vino nuovo che fino a qualche decennio fa si potevano ancora sentire per le strade e i vicoli della città. Per testimoniare l'evento abbiamo scattato qualche foto proprio nel Vico omonimo dove nasce la tradizione del "Pazzariello", dove ancora il banditore può essere raramente ammirato con la sua moltitudine disordinata di ragazzini che, pur non essendo più gli scugnizzi dei tempi andati, conservano le caratteristiche vitali dei bambini che da sempre abitano gli stretti vichi impregnati di "vertigini rinascimentali". Quest'ultima definizione la prendiamo a prestito dal poeta e scrittore catalano Josep Piera che comunque non fu molto indulgente con la nostra città definendola "un misto putrescente di cadaveri barocchi", opinione neanche minimamente condivisibile. Ma rassereniamoci con la musica e i colori di questi magnifici e giovanissimi aspiranti "pazzarielli".

Foto di Antonio Tortora: Vico Pazzariello



Foto di Antonio Tortora: Musicanti



Nel volume di Paolo Izzo "Il Pazzariello: contributo alla definizione di un mito" pubblicato da Stamperia del Valentino nel 2009, si trova una descrizione scritta dal Marulli nel 1886: Chi, andando a Napoli, incontrerà un uomo coi pantaloni rossi alla cacciatore francese con soprabito a coda di rondine tutto filettato di fasce d'oro, con cappello a due punte sfarzosamente gallonato, portando a tracolla un lungo binocolo di latta ed in mano un grosso bastone come quelli usati dai portinai delle case aristocratiche, e scalzo, dica pure che è il Pazzariello, perché non farà errore".


Foto di Antonio Tortora: Pazzariello e musicanti


altre foto

videocontributo 


Riportiamo l'articolo - recensione apparso a nostra firma, il 15 gennaio 2010 sul quotidiano online Napoli.com http://www.napoli.com/sport/stamparticolo.php?articolo=32205:


Il Pazzariello di Paolo Izzo

di Antonio Tortora


Qualcuno ha visto il Pazzariello per le vie di Tokyo o per le vie di Osaka? Per un napoletano doc il quesito appare a dir poco strano, fuori luogo e non geograficamente compatibile; sembra non consono poiché, si sa, il Pazzariello è una creatura squisitamente partenopea e dalle antichissime origini; viene percepito persino provocatorio in quanto nella memoria dei più anziani e dei giovani che ancora hanno conservato la capacità di ricordare e di apprezzare il passato sarebbe assurdo ascoltare un pazzariello che da la voce, urla e canta in linguaggio nipponico e suona con un mix di strumenti orientali e dall’acustica desueta e inascoltabile per un orecchio occidentale e per di più italico, mediterraneo e meridionale.

Ebbene, la risposta è positiva e lo conferma il ricercatore universitario Giovanni Borriello in un suo scritto pubblicato su Orientalia Parthenopea e dedicato interamente al Chindon’ya le cui performances musicali possono essere rintracciate a Tokyo, in particolare nei sobborghi periferici come Okubo, e fuori alle piccole botteghe di Osaka dove la tradizione, risalente all’epoca Edo (1603-1867) viene ancora fatta rivivere fin da quando il proprietario del negozio di dolciumi Ame Katsu decise di attirare clienti vestendosi in abiti tradizionali e suonando strumenti dell’antichissima tradizione giapponese. Il napoletano incredulo se ne faccia una ragione: anche nel lontanissimo Oriente il Tozaiya o l’Hiromeya (antiche definizioni del Chindon’ya) girano per le stradine di Osaka nella veste di “single street performers” e per le ampie vie di Tokyo in veri e propri “group street performers”; si perché anche in Giappone il pazzariello gira da solo o in piccole formazioni di musici esattamente come avveniva a Napoli almeno fino agli anni ’60 e raramente agli anni ‘70. In Giappone tale figura era ed è percepita come “ambulante pubblicitario” e in parte tale definizione calza anche per il fantasmagorico banditore napoletano. Dunque non avendo più il pazzariello napoletano dobbiamo arrangiarci con quello giapponese? Diamine, non è possibile!

Ma fermiamoci un attimo e tiriamo il fiato; non tutto è perduto. Ci soccorre uno studioso napoletano Paolo Izzo, titolare di una piccola ma coraggiosa casa editirice partenopea “Stamperia del Valentino” che oltre a occuparsi di altri seri e ponderosi temi pubblicando volumi come “Le uova dell’angelo”, “Le feste negate”, “L’indole naturale dei napoletani” e “Giochi storici napoletani”, si è preso la briga di condurre una ricerca estesa su questo personaggio veracemente napoletano e ormai leggendario, pubblicando “Il Pazzariello: contributo alla definizione di un mito” oggetto, proprio in questi giorni, di presentazione al pubblico. Per soli 15 Euro il lettore, sfogliando e leggendo le 127 pagine del libro percorrerà tutti i vicoli e le strade della città a partire da Vico Pazzariello per un viaggio che non è mai stato affrontato, fino a questo momento e fino a questo volume; infatti non sembra che esistano altre monografie sull’argomento tranne pochi e piccoli articoli disseminati sulla stampa periodica dal Cinquecento alla seconda metà del Novecento.

Ancora meno sono rintracciabili le foto del personaggio mentre di incisioni d’epoca se ne trovano ancora, sebbene piuttosto di rado. Dunque un vuoto storico-antropologico è stato colmato e il monito lanciato da Elio Varriale in “Mestieri e Mestieranti” alla voce “O pazziariello”edito nel non lontano 2003 è stato decisamente scongiurato, almeno nelle intenzioni di Paolo Izzo e nella sua fresca provocazione “sarebbe bello rivedere il Pazzariello per le strade” e, aggiungiamo noi, sarebbe altrettanto fantastico riascoltare le sue “sparate” dal sapore commerciale, e le notizie di cui era megafono vivente in missione per conto del popolo illetterato quanto si vuole, ma anche custode della tradizione, ovvero di quell’insieme di usi e costumi tipici di una terra viva e ricca di colori, suoni e profumi, e soprattutto di uomini che rimangono tenacemente attaccati alle radici stesse della cultura plurimillenaria maturata su di un fertile suolo. Il Varriale infatti scrive: “con il solito intervento della società dei consumi, oggi anche il pazziariello è stato mandato in soffitta. Inutile chiamarlo: egli ha già imboccato la strada che unitamente alle filastrocche, alle tiritère e alle allegre marcette, porta verso il nebuloso regno della dimenticanza, dell’abbandono e dell’oblio”.

Ebbene, in un’epoca di crisi non solo economica bensì di valori come quella in cui stiamo vivendo, lo studio di Paolo Izzo sembra rompere l’omertà che ha caratterizzato per troppo tempo la genesi, lo sviluppo e il declino di una figura bonaria e caricaturale, fra il murattiano e il borbonico, fra il banditore e il cantastorie, ma anche di una figura importante e punto di riferimento per quella cultura del vicolo e della piazza, autentici regni del possibile dove tutto poteva accadere e dove sciami di bambini accorrevano in un vero e proprio baccanale di urla, canti sfottò e scimmiottamenti. Uno sprazzo di luce è penetrato in quel “nebuloso regno della dimenticanza, dell’abbandono e dell’oblio” di cui parlava il Varriale ed è riuscito a illuminare quanto basta per recuperare le immagini, le voci e i suoni ovvero per non dimenticare.

In altre parole, e per essere ancora più chiari, come l’editore Izzo richiama i napoletani a raccolta in una delicata missione di recupero delle tradizioni con i suoi libri fondamentali per la ricostituzione di un tessuto culturale e antropologico e di una comune memoria, così lo scrittore Izzo, con il libro “Il Pazzariello” di cui volutamente non abbiamo scritto quasi nulla per non anticipare il gusto e il piacere della lettura, ha freddamente girato il dito nella piaga scavando fino all’origine di un mito e ridando finalmente lustro al singolare “maestro di musica – banditore” rappresentato da Totò nell’Oro di Napoli e in Totò le Mokò,  al “fattucchiaro” impersonato da Paolo Stoppa in Carosello napoletano, al Pulcinella banditore raffigurato nelle incisioni su rame ottocentesche di Secondo Bianchi, nel Pascalotto che suona il putipù nell’800 fino a giungere alle cartoline degli inizi del ‘900 e alle foto degli anni ’60 e ’70.
Di certo, oggi come oggi, far riecheggiare la voce “battagliò! fanfarrò! pupulaziò! aize ‘o bastò! Attenziò! E’ asciuto pazzo o padrò!” oppure “Currite! mo s’è aperta sta cantina” ed altre mille voci e grida dal profondo dei vicoli e dal centro delle piazze tornerebbe a far sorridere i napoletani afflitti da una classe politica fanfarona e incapace nonché da problemi ormai annosi; non solo ma forse lo stimolo “prufessò musica e avanti!” ridarebbe speranza e ottimismo a una umanità metropolitana ormai depressa e asfittica costretta a ritagliarsi un modesto spazio vitale tra rumore, caos, traffico e disordine.

Ecco il messaggio: il pazzariello è la forma di una sostanza che appartiene a una città indomita nonostante le tragedie che l’hanno afflitta e che continuano a colpirla, fortunata perchè stretta tra un mare limpido e un terreno fertile, vulcanica e piena di temperamento perché il Vesuvio, a stento trattenuto dal mago Virgilio e dal martire San Gennaro, le trasmette costantemente forza ed energie telluriche.
La provocazione è stata lanciata e la scommessa può essere vinta . Chi  raccoglierà l’invito di Paolo Izzo? Napoli avrà un suo nuovo Pazzariello trovando la forza di recuperare e ridare vita alle sue tradizioni, con il sorriso sul volto e artefice del suo rinascimento, oppure dovrà rinunciare per sempre ai suoi simboli caratteristici e innervati nelle profondità della sua stessa carne?



Nessun commento:

Posta un commento

Come regola generale qui è gradita l'educazione, si chiede di mantenere un atteggiamento civile e costruttivo, nonché di impegnarsi ad agire con totale rispetto ed onestà sia verso l'amministratore del blog che verso gli altri utenti, pubblicando messaggi che contengano informazioni corrette e veritiere.